Logopedia
Logopedia
La logopedia è una disciplina sanitaria che si occupa della comunicazione e del linguaggio umani in senso prevalentemente applicativo: studia gli atti comunicativi che le persone producono attraverso vari codici linguistici allo scopo di promuovere, prevenire e riabilitare la comunicazione interpersonale.
In tal senso, il logopedista valuta se la difficoltà comunicativa del bambino ha delle caratteristiche patologiche oppure se presenta solo una componente di ritardo evolutivo a cui seguirà uno sviluppo normale.
Chi è il logopedista?
Il logopedista è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, svolge la propria attività nella prevenzione, valutazione e trattamento riabilitativo delle patologie della voce, del linguaggio orale e scritto e della comunicazione in età evolutiva, adulta e geriatrica (Profilo Professionale del Logopedista. DM 14 Settembre 1994, n. 72 G.U. 9 gennaio, n. 6).
L’iter formativo varia dai 3 ai 5 anni con il conseguimento, dopo la maturità, della Laurea di 1° e 2° livello. Il Corso di Laurea in Logopedia è attivo in molti atenei presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia. Inoltre, sono previsti master di specializzazione.
Di quali problemi si occupa?
Il logopedista agisce sulle difficoltà di comunicazione. Quest’ultima si suddivide in una componente non verbale (i gesti, la mimica) ed una verbale (il linguaggio vero e proprio). Il linguaggio verbale, in particolare, presenta una componente recettiva (input linguistico) ed una produttiva (output linguistico): con la prima si fa riferimento a quanto si comprende nell’ascolto, la seconda, invece, riguarda quanto si dice.
Poichè riabilitatore, il logopedista, prima di iniziare il suo intervento, spesso necessita di un confronto con un medico specialista, in genere un neuropsichiatra infantile (se si fa riferimento all’età evolutiva) che definisca una diagnosi relativa al disturbo presentato dal bambino.
Infatti, un ritardo o un disturbo del linguaggio possono dipendere da varie problematiche: l’età in cui si considera il problema corrisponde ai tre anni, ma già a 24/30 mesi si possono individuare delle problematiche comunicative che occorre affrontare precocemente.
Se a questa età il bambino non ha ancora prodotto delle paroline è bene chiedere un primo parere al vostro pediatra.
Potrebbe trattarsi di un semplice ritardo di linguaggio (RS) che, nel breve tempo di alcuni mesi al massimo, si risolve ed il bambino sviluppa un buon linguaggio verbale; oppure potrebbe trattarsi di un disturbo primario del linguaggio (DL), in cui il ritardo è molto più accentuato e le paroline o le frasi possono comparire molto più tardi a 4-5 anni.
La difficoltà può dipendere da un ritardo mentale, condizione in cui il bambino non sviluppa correttamente le varie funzioni relative alla sua età, come un gioco o un disegno adeguato e tra esse anche il linguaggio verbale. Un’altra possibilità riguarda la presenza di un disturbo della produzione verbale accompagnato anche da una scarsa interazione sociale del bambino con gli altri che potrebbe avere a che fare con un disturbo autistico o dello spettro autistico.
Naturalmente la prima cosa da indagare è verificare che il bambino non sia sordo o che non abbia una paralisi cerebrale, in cui prevale il disturbo della articolazione per una paralisi dei muscoli fonatori. Nel primo caso l’intervento è supportato anche dall’Otorinolaringoiatra.
Difficilmente un bambino non parla perché è svogliato, perché è nato un fratellino o per un “trauma.” La componente emotiva può limitare l’uso del linguaggio, ma non è mai così grave da impedirne la comparsa o il suo l’utilizzo.
Esiste una condizione clinica che si chiama “mutismo elettivo” in cui un bambino non parla con le persone in genere, ma utilizza il linguaggio in modo corretto con la madre o altri famigliari. Tale condizione presuppone spesso una presa in carico di tipo psicologico e una collaborazione tra le figure logopedista-psicologo.
Vi sono altri ambiti in cui un logopedista dell’età evolutiva interviene:
– i disturbi della pronuncia, (la “R”, la “S”, la “Z”)
– la balbuzie
– le disfonie (disturbi della voce)
– i disturbi specifici dell’apprendimento (DSA- dislessia, disortografia, discalculia, disgrafia)
– la deglutizione atipica, infantile o deviata.
Quando bisogna preoccuparsi ed andare dal logopedista?
Il linguaggio compare gradatamente nel bambino intorno ai 18 mesi. Inizia con “sì” e “no” , “mamma” e “papà” per poi strutturarsi con sempre maggiori paroline e frasi.
A due anni e mezzo, pertanto, se non ci sono ancora questi segnali, è utile capire se ci sono dei problemi e conviene intervenire, oppure aspettare. In ogni caso è consigliabile e importante avere un parere specialistico per escludere problematiche in cui l’intervento precoce è determinante per l’evoluzione del linguaggio ed è anche utile per essere tranquilli e non stressare il bambino affinché dica le paroline.
A che età si interviene?
L’intervento deve essere precoce quando ci sono dei disturbi specifici e non conviene attendere, anche se il bambino ancora non parla. Infatti, un bambino che non dice nulla spesso non ascolta molto o non imita gli altri, per cui è utile agire tempestivamente proprio stimolando la sua attenzione agli oggetti, alle parole e alle persone.
L’attesa spesso crea tensione nei genitori quando non vedono un miglioramento spontaneo nei tempi previsti, nemmeno quando il bambino inizia la scuola dell’infanzia. Una valutazione specialistica, sia nei casi lievi che in quelli più complessi, rassicura il pediatra e i genitori e non significa che implichi una presa in carico terapeutica.
Quante volte si deve andare?
In genere, una volta alla settimana di terapia non serve a nulla. Il bambino ha bisogno di continuità per comprendere le richieste riabilitative. Per questo motivo, è fondamentale che l’ambiente familiare e scolastico sostengano e motivino positivamente il bambino in questo percorso di proposte e indicazioni fornite dal logopedista.
Fino a quando si fa logopedia?
In genere, le prime 2/3 sedute sono dedicate all’osservazione e valutazione della comunicazione e del linguaggio del bambino. In seguito si individuano gli obiettivi specifici di lavoro e si stende il programma riabilitativo che viene condiviso coi i familiari. La lunghezza del trattamento dipende da molti fattori, ma soprattutto dal tipo di difficoltà presentate dal bambino: può durare qualche settimana, qualche mese o qualche anno.